mercoledì 23 gennaio 2008

Recensione


BLACK MOUNTAIN – IN THE FUTURE – 2008 – VOTO 8,5

“E' come vedere Gesù Bambino dentro la grotta, prima che diventi il bel ragazzo barbuto noto alle masse come Cristo” Gianluca Testani – Mucchio Selvaggio nr. 642


Duemilasette concluso con i botti di fine anno, dischi capolavoro (leggasi Radiohead), assegnazione di premi da parte di centinaia di riviste, migliaia di siti e milioni di blogger e botti veri e propri che hanno ancora una volta colpito le etichette discografiche. Duemilaotto in cui nei primi giorni si scoppia ciò che è avanzato dall'anno precedente. Di solito avanzi. Poco rumore, poca luce e poco spettacolo. A volte, raramente per dirla tutta, succede che uno dei migliori botti sia rimasto lì, come dimenticato prima di partire per la festa, e solo a festa conclusa si ritrovi. E' il caso di In The Future. Canadesi anche loro, come gli Arcade Fire di Neon Bible che insieme a In Rainbows dei Radiohead hanno stravinto sulla maggior parte delle testate il titolo di disco dell'anno. Questo è il loro secondo disco. Il primo soffriva di troppa immaturità per stupire e diciamolo pure non lasciare affatto prevedere un seguito così interessante.

E ora diventa difficile recensire un disco così. Loro parlano, tanto per dargli un'etichetta, di “psych and prog spiritual” ma, a parte il fatto che difficilmente si riesce a capire il tipo di musica da un'identificazione così “campata in aria”, in questo disco si trova un pò di tutto. Amanti dell'Hard? C'è. Volete il Rock? Tutto quello che volete. E il/la Prog? Pezzi da 8 e da 16 minuti fanno al caso vostro. Ed il Pop senza scadere nel sentito e risentito? Eh si, c'è anche quello. Reduci della 'Friso Lisergica? Siate i benvenuti.

Un viaggio di poco meno di un'ora con dieci stazioni da affrontare tra ritmi accelerati, lunghe suite sognanti e sterzate potenti, improvvise e ben controllate. Qualche diffettuccio forse c'è. Nei sedici minuti e passa di Bright Lights la parte centrale, che non dura poco, rischia la monotonia ma poi si riprende in maniera strepitosa. E quindi potrebbe non essere un difetto ma solo la giusta introduzione. Forse difficile da digerire al primo ascolto, totalmente disadatto per chi resta fedele a certi schemi ritmici e da lì non vuole uscire, adatto invece a chi ama la sperimentazione, in questo caso eccessiva (che non si legga come elemento negativo), ed è disposto, in un epoca di musica mordi e fuggi come la presente, a provare, tornarci su, e riascoltare svariate volte un disco. Proprio come l'incipit di apertura, un disco appena nato, di cui non si sa niente ma che con il tempo potrebbe diventare un termine di paragone. Intano lo è già per tutti quelli che vedranno la luce in quest'anno. L'anno è lungo e speriamo ricco di capolavori ma intanto il Canada spera nella doppietta.


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